Mio padre scopre la letteratura occidentale

Leggi su Biró Ho sempre pensato che mio padre sarebbe morto per primo. Lo pensava anche lui: “Con tutto quello che ho respirato in fabbrica, state tranquilli che appena vado in pensione schiatto”, diceva ogni tanto, quando mia madre si perdeva a immaginare i lunghi viaggi che avrebbero fatto da vecchi. Era un uomo ruvido e fermo, come le sue mani, coi polpastrelli tutti spaccati e macchie di nero nelle fessure. Invece è morta prima lei; malore improvviso, come si dice, mentre camminavano su un sentiero del monte Beigua, sopra Arenzano. Mi gira tutto, mi devo sedere, appoggiati qui un attimo su questa pietra che ti riprendi, pum!, ha chiuso gli occhi. Io non c’ero, come è andata l’ho saputo più tardi da mio padre. Ci sono poi andato, a vedere il punto in cui è successo. Il panorama pietroso, lunare del Beigua, che lei amava tanto. La nostra sognatrice un po’ disadattata. Morbida e molle, complementare a lui. Sono passati tanti anni, ma non ci si abitua mai. Non è solo una frase fatta. Mio padre non aveva ancora sessant’anni quando è successo. Credo che abbia provato a dimenticarla, all’inizio. Ha avuto qualche compagna, per un po’, ma poi ha rinunciato. Esistono davvero le dolci metà, ma è un legame che non ha nulla di dolce: è una simbiosi, un attaccamento quasi fusionale, e se uno dei due muore l’altro resta come dopo un ictus, paralizzato in tutta la parte destra del corpo. Così dopo la pensione si è chiuso nel suo magazzino. Era sempre stato un uomo pratico, circondato solo da cose conc […]

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