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Leggi su Biró Quella trascorsa è stata una notte troppo quieta. Persino le bestie hanno rispettato, mute, le ore di buio che precedono l’ultimo giorno illuminato. Quando l’allodola canta, mi spingo ad alzarmi. La serva, invece, l’ho sentita russare tutto il tempo, accucciata ai piedi del letto. Rantolii, soffi, qualche parola mormorata a nessuno. – Siete già in piedi? – chiede. Si strofina le palpebre, domanda se voglio che scenda a prendere dell’acqua, per lavarmi, bere. Come se avesse ancora importanza. – Vado io – rispondo. Lei insiste, ma per poco. Il sonno ha la meglio su ogni preoccupazione. Mi affaccio sul cortile: al pozzo non c’è nessuno. Scendo scalza, non voglio che qualcuno si svegli per me. Un frusciare di panni frena le mie gambe a metà scale. Basta un ascolto più attento per capire chi è. Rapido come una serpe, Azar avanza lungo il muro verso l’uscita. Lo chiamo piano. – Che ci fai in piedi? – chiede. Le mie mani conoscono ogni filo del manto di porpora che lo avvolge. Oggi fa apparire il suo volto pallido come il sale. – Avevo sete. – Potevi mandare la serva –. Si avvicina, mi accarezza il viso. – Dove vai? – domando. Fa segno di sedermi. Afferra la fune della carrucola e cala il secchio nel pozzo. – Adunata. Anche se ormai…– Abbassa gli occhi, fissa la corda che scende. – Non dipende da te – dico. Vorrei mettergli una mano sulla spalla, alleggerirla del peso di sostenere tutti. Ma ha i muscoli troppo tesi per accettare una carezza. Il secchio risale rapido. Azar lo m […]

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