Acquari
Leggi su Biró La coppa gli scivola dalle mani, il pavimento è un misto di olio, insalata e qualche oliva che rotola sotto le scarpe. – Giulia! – urla, e il mio nome rimbalza sulle pareti della cucina, mi trapassa come un coltello, lo stesso che usano i macellai per separare lo strato di grasso dalla carne più tenera. Guardo mio fratello negli occhi e lui ricambia lo sguardo, come se ci vedessimo per la prima volta. Occhi che mi hanno sempre ignorata e che adesso mi tengono inchiodata tra la sedia e il tavolo. Non so dire quand’è cominciata l’avversione di Matteo per i nomi. All’asilo ogni cosa – l’attaccapanni, l’armadietto, il grembiule – aveva un’etichetta col nome di ciascuno appiccicato sopra, come se i bambini avessero continuamente bisogno di ricordare a chi appartenessero le cose per paura di perderle o scambiarle. Una volta mi è successo, ho preso lo zaino di una compagna per sbaglio e lei si è portata a casa il mio. La cosa non mi ha disturbato, anzi, mi piaceva che i quaderni fossero imbrattati dei disegni e della scrittura di un’altra persona. Per Matteo era diverso, odiava quando le cose intorno a lui si rivelavano diverse da quello che sembravano. Quando un bicchiere non era al suo posto se ne accorgeva, quando il cucchiaio era a sinistra e non a destra del piatto si metteva a strillare. Dovevo afferrare gli angoli della tovaglia, per paura che facesse saltare tutto all’aria. Ho sempre pensato fosse colpa dell’acquario. L’incubatrice in cui Matteo aveva vissuto due […]