La ricompensa del gatto | Una cena fra amici

Leggi su In fuga dalla bocciofila Mentre tutti ridevano, ubriachi quel po’ che basta per smussare gli spigoli e sciogliere la lingua, lei giocava a riconoscere la solitudine: “sono sola”, pensava, “nessuno vuole davvero che io rimanga”. Aveva imparato che a volte il vino aiutava, a volte era peggio: non c’era modo di saperlo in anticipo. Stare bene era sentire la solitudine come un dolore ad una gamba, qualcosa di esterno da osservare, un livido di cui non si ha colpa. Stare male, invece, era credere alla solitudine, farsi portare sempre più lontano, dove non c’era nulla se non la voglia di dormire e guardare video di gattini per pomeriggi interi. Gattini che saltano, cadono dalle scale, gattini che si arrampicano su per delle grondaie e non sanno scendere, gattini addormentati. Stare male era guardare video di gattini per pomeriggi interi e chiedersi se qualcuno, da qualche parte, sapesse cosa le stava succedendo e rispondersi che no: a nessuno mancava, nessuno l’avrebbe cercata. Sentirsi tremendamente in colpa, sentirsi responsabile di quel vuoto, di essere fondamentalmente sbagliata, incapace di avvicinarsi agli altri, di farsi avvicinare, come un animale feroce, ma senza la forza o il mistero: solo una fame incomprensibile e senza tregua di qualcosa che non sapeva mettere in parole. Amore? Sesso? No. Empatia forse? Faceva fatica a finire i pensieri: un gattino cadeva sui fratelli e mamma gatta lo sgridava, lo metteva seduto e gli soffiava addosso. «Sei uno stupido, potevi ammazzarli». “I gatti non dovrebb […]

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