Dentro il muro
Leggi su Biró Mia madre finì in cenere nel maggio del 1989. Smise di esistere quando i papaveri nascevano a forza, stipati tra i ciottoli di un fiume già troppo secco, in mezzo alle traversine della ferrovia e tra le crepe del muro, che di lì a poco avrebbe smesso di esistere pure lui. La promessa di passare in qualche modo, noi due insieme, il Checkpoint Charlie, era nata già estinta. Avrei dovuto vederla la pelle gialla di mia madre, vederla in tempo, allarmarmi, ma ero troppo presa dal pianificare la nostra fuga verso Ovest, scritto e detto e pensato da sempre con la O maiuscola. Quando il medico del sanatorio poggiò delicatamente i pollici sulle palpebre inferiori degli occhi di mia madre e li trascinò in basso premendo sulle sue guance, l’espressione di mamma divenne quella di un pierrot di vecchia ceramica crepata, e l’espressione dell’uomo divenne pietra grigia, oracolo di morte. Mormorò qualcosa tipo ittero-in-avanzamento e confermò il nero sospetto delle lastre: probabile carcinoma al fegato o, peggio, alle vie biliari. Era uno che ne capiva, a detta di tanti, a detta di tutti. Bisognava credergli per forza; ci consigliò di creare un meno-peggio-da-vivere per i mesi da lì a venire, così disse, il meno-peggio, e aggiunse un le stia vicina mettendo la sua manona sulla mia spalla magra e puntuta. Mia madre smise di esistere al termine di un inverno caldo e umido dove due coperte sul letto erano troppe e una era troppo poco. Non se ne capacitava, povera donna dal ventre gonfio e […]