Novecento
Leggi su Biró È una vecchia edizione in Universale Economica Feltrinelli, la mia copia di Novecento di Alessandro Baricco. La tengo sullo scaffale sopra la scrivania, mi è sufficiente sollevare lo sguardo per individuarla. Un accenno di giallo ai bordi, la costa è così usurata che le pagine hanno cominciato a staccarsi, gli spazi bianchi sono infarciti di appunti. L’incipit è interamente sottolineato a matita, ci sono frasi cerchiate più volte, come se la ripetizione del gesto aiutasse a imprimerle nella memoria. In effetti, è la porzione di testo che mi capita più spesso di leggere ad alta voce – quando sono sola nella mia stanza, quando sono in compagnia. È l’esempio perfetto di attacco, perché in poche righe ci sono inizio, fine, forma, anima. Ho sempre desiderato riuscire a scrivere in questo modo, come qualcuno che non ha niente da perdere e si lascia andare al gesto più semplice e insieme più complesso mai messo in atto dall’umanità, accostare parole ad altre parole. Un puro esercizio di stile raffinato fino alla perfezione, tutto fuorché fine a sé stesso. Ho perso il conto di quante volte ho impersonato quelle due prime pagine di monologo. Ricordo solo le più recenti. La penultima, l’anno scorso, davanti alla persona che speravo mi amasse; l’ultima, quest’anno, davanti alla persona che ho finto di amare. Non posso mai prevedere come lo affronterò. Saranno le mie pause, il mio respiro, il mio umore a modificare l’esperienza. Di solito mi viene naturale partire lentamente e a bassa vo […]