I lasciti
Diversi elementi accomunano Invernale, di Dario Voltolini, e l’esordio di Giusy D’Urso, Se camminare fa troppo rumore, anche per più di una centrale affinità tematica. Entrambi sono nitide riflessioni sul dolore, e più che inserirsi in esso attraverso un racconto impersonale, seguono la tradizione autofinzionale di tanta letteratura odierna, proponendosi in una posizione specifica che lo guarda come si può pensare di guardare una catastrofe dal momento della sua nascita fino a quello del suo compimento. Entrambe le scritture provano ad arginare il discorso in una zona liminare che concerne il tentativo di riannodare la percezione del dolore a uno spazio indipendente, frapponendo una teca fra sé e gli eventi, fra lo smarrimento che esso provoca e la necessità della voce narrante di svelarsi in modo centripeto verso il centro del sé, mostrando la possibilità, la connessione che permetta di dire l’io dopo e tramite l’esperienza raccontata. Voltolini sceglie di raccontare la storia della malattia del padre del narratore da lontano, imponendo uno spostamento della stessa voce narrante. Invernale si apre infatti come una preghiera: la narrazione focalizza la figura del padre, macellaio, e del suo luogo di lavoro. Le abitudini dei gesti raccontano un luogo collaudato, dove ogni pezzo diverso è osservato con minuzia dalla voce narrante, ogni pezzo di animale viene a comporre un regno dove la scena si va a concentrare su di lui, padrone apparentemente incont [...]