Editoriale ovvero Almanacco Kitsch di Maggio ’24
Leggi su Biró Ho accolto maggio come sono solita fare ormai da tempo: con una domanda e due ciliegie. Adoro questo mese, avrei desiderato tanto nascervi e invece m’è toccato giugno che pure è affascinante per tante ragioni [prima tra tutte il mio principiare in questa vita] ma preferisco maggio! Me lo figuro rosso, come le ciliegie di cui vado ghiotta, e come una risposta che paziente, solenne e pronta attende di essere riscattata. La domanda, dicevo, ha una subdolenza irritante, si insinua dappertutto pure nelle cose che vorrei fossero scevre dai miei pensieri tormentosi [i libri che leggo, per esempio – ma non è poi questo che dovrebbe fare la buona narrativa: spingere alla riflessione, porsi degli interrogativi?]. Così mentre leggevo una poesia di Raymond Carver, mi sono imbattuta nella parola amare. Niente di strano, se non fosse per il contesto totalmente opposto tra quello scelto da Carver e quello inteso da me: lui si era riferito al verbo amare [l’azione di provare e dimostrare amore per qualcuno], io ero orientata all’aggettivo plurale femminile di amaro. Sono dovuta tornare più volte a leggere quelle parole per riuscire a ricavare un senso da ciò che io cercavo di comprendere con il mio sentire. L’impasse è durato qualche secondo, il tempo di dirmi che era molto strano che stessi scambiando l’amarezza con l’amore. Ma ho lasciato perdere, ho cercato di non farci troppo caso. Poi di nuovo l’insolenza della domanda. In palestra [che è un covo di grandi storie e ispirazioni], n […]