Il tossicomane Burroughs e la scimmia sulla schiena
«‘Ha la solita scimmia che le si arrampica sulla schiena?’ domandò l’uomo con la pipa». Da questa domanda deriva il titolo della prima edizione italiana di Junky (La scimmia sulla schiena) di William S. Burroughs, il romanzo autobiografico, che ripercorre i 15 anni da tossicomane dello scrittore americano, riproposto da Adelphi in una nuova traduzione (di Andrew Tanzi) e con un’introduzione di Oliver Harris e un’appendice che include fra l’altro la prefazione di Allen Ginsberg all’edizione americana del 1977. Da sempre legato alle culture sperimentali e alle avanguardie di tutto il mondo, alla cultura underground – quel grande mixer di gruppi e genti così diverse tra loro che si identificano nell’equivoco –, sperimentatore nella pittura come nelle lettere – celebre è la tecnica del cut-up, di cui è chiara espressione quell’indecifrabile capolavoro che è Naked Lunch (1959) – Burroughs ha raccontato apertamente la propria esistenza di tossicomane, e in uno stile per lui insolito, per paradosso cristallino e lineare, in Junky. Burroughs si è spesso ritrovato incasellato in quel calderone che prende il nome di Beat Generation, a fianco di autori che per il loro stile e le tematiche inconsuete dei loro scritti sono stati con molta faciloneria etichettati come “beats”. In realtà, se è vero che l’autore del Pasto nudo condivise per breve tempo le strade di autori come Allen Ginsberg, Gregory Corso o Jack Kerouac, è tuttavia da ritenersi un irregolare. A Ginsberg, d’altra parte, l [...]