Lochinvar. Walter Scott e la poesia delle cose antiche

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1. Esordio Fra il 1802 e il 1803 un gentiluomo scozzese da poco trentenne, di professione avvocato, membro della Faculty di Edimburgo e magistrato nella contea di Selkirk, fece il suo esordio letterario: pubblicò in quei mesi una collezione di ballate tradizionali che aveva raccolto personalmente da manoscritti e interviste orali. Il libro era intitolato Minstrelsy of the Scottish Border, e il nostro gentiluomo si chiamava Walter Scott.Non era ancora famoso, ma il libro non passò inosservato. La prestigiosa Monthly Review gli dedicò una recensione immediata, che a dire il vero invitava l’autore a impiegare meglio il suo tempo; perché tanto lavoro pareva sprecato per dei testi di tradizione popolare.E nemmeno chi gli aveva recitato alcuni di quei testi si diceva soddisfatto. Una delle fonti orali di Scott, l’anziana signora Margaret Laidlaw, madre del poeta James Hogg, quando venne a sapere che i versi da lei pronunciati erano usciti in volume, ebbe a lagnarsi: «Sono fatti per essere cantati, non stampati». Lo ricorda una discendente d’eccezione della famiglia di Margaret, l’autrice canadese Alice Munro, in un dialogo implicito con Walter Scott. 2. I canti dell’ultimo bardo: evoluzione del poeta narrante La presenza dell’opera di Scott in un racconto di Alice Munro, tuttavia, dimostra di per sé che il suo lavoro non era andato sprecato, nonostante i rimbrotti di Margaret e di quel primo recensore.Insomma Walter Scott non ebbe del tutto torto se scelse di proseguire su [...]

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