La chimera | L’occhio orientale

Leggi su In fuga dalla bocciofila       Non parlammo per la maggior parte del viaggio. Mi sedeva di fronte e indossava un orologio con una sola lancetta. Pensai che non potesse essere quella dei secondi – i secondi si vedono scorrere mentre scorrono, pensai –, le ore, invece, non si vedono scorrere, ma nemmeno i minuti si vedono scorrere, pensai anche, così mi domandai chi avrebbe avuto voglia di scandire l’avvicendarsi delle proprie albe in millequattrocentoquaranta parti, e mi convinsi che la lancetta dovesse essere davvero quella delle ore.  Raramente mi capitava di lasciarmi distrarre dal paesaggio che scorreva al di fuori del finestrino; spesso erano campi coltivati, ogni tanto schiere di case malridotte; terrazze mai più aperte dopo l’arrivo della ferrovia; persiane scheggiate e screpolate, arse dal sole e sbiadite, che si susseguivano in una parata sgraziata che arrivava, in ritardo, ai miei occhi, attraverso gli aloni di polvere e i minuscoli grani di terra posati sui finestrini nei giorni di canicola, oppure attraverso le gocce che si rincorrevano nello spostamento d’aria della discreta velocità degli intercity nei giorni di pioggia. Così, raramente mi capitava di lasciarmi distrarre da tutto questo; eppure ricordo bene che durante quel tragitto da Firenze a Bologna, accadde numerose volte, perché il mio sguardo veniva catturato da una grossa cicatrice che quell’uomo teneva fieramente a lato dell’occhio sinistro: iniziava poco sopra la sua tempia e scendeva fino alla fine dello zigomo, […]

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