Il ritorno dello sciamano
Nel 2010, a un anno dalla morte di Claude Lévi-Strauss, come a voler celebrare la vita di colui che probabilmente è stato il più grande antropologo della storia, è stato pubblicato un libro a dir poco memorabile: La chute du ciel. Paroles d’un chaman yanomami. Si tratta di un testo che è già leggenda. Una sorta di libro sacro, considerato una vera e propria “Bibbia sciamanica” e già divenuto una pietra miliare dell’antropologia contemporanea. Ma non solo. Questo libro riesce anche a convogliare i movimenti ecologisti di tutto il mondo e ispirare alcune delle menti filosofiche più interessanti di questi ultimi anni. La caduta del cielo non è solo un libro, ma anche un manuale di sopravvivenza, un manifesto dei popoli indigeni di ogni tempo e luogo, un insegnamento per il futuro, una profezia, un sigillo per i tempi che verranno, un amuleto per scongiurare la catastrofe: la morte della foresta-mondo e il crollo del cielo.Apparso per la prima volta nella prestigiosa collana Terre Humaine, delle edizioni Plon, con la prefazione del mitico esploratore che raggiunse per primo il Polo Nord in slitta, Jean Malaurie (pubblicato in lingua italiana da nottetempo nel 2018, nella traduzione di Alessandro Palmieri e Alessandro Lucera) La caduta del cielo inizia con una predizione, che suona oggi più cogente di quando comparì per la prima volta tra le mani di un lettore occidentale, di un Bianco. E recita così: «La foresta è viva. Può morire solo se i bianchi si ostinano a distruggerla. [...]