Ultimi bocconi
Leggi su Biró Ultimo boccone, che il mio amoresiriano si premurava di lasciarmi alla fine del pasto – non importa che fosse dolce o salato, a patto che fosse l’ultimo – e nella prima lontananza mi scrisse: «Valeria, la nostalgia del tuo corpo ha la forma dello spicchio di arancia che lascio appassire nel piatto – immaginando di porgerlo alle tue piccole labbra». Così usava fare, l’amoresiriano, che nella città buia e devota alla crisi fumava e soffriva e beveva caffè; e sempre con la sigaretta in bilico tra il medio e la punta dell’anulare, sospesa – come la penna, lo sguardo cerchiato, la voce – nell’esitazione del poeta, lui, il poetasiriano. E nel piatto, l’ultimo boccone: per me, per le mie piccole labbra di bambina. E io lo accettavo, lasciando che il mio corpo si ammorbidisse degli spigoli e del rigore dell’adolescenza, del mio metro e cinquantasei per trentatré chili d’un tempo, della competizione inesauribile con l’astrazione di un’idea: idea bidimensionale, bellezza ingannatrice, incorporea, tradimento femminile. Ma che male mi sono inflitta, che cosa sono stata capace di farmi. Ultimo boccone, unico pasto giornaliero concesso, ossessione dei miei quindici anni. E ancora guardo al cubetto di formaggio che mi ripromisi, al centro della porcellana antiquata, adesso che il morbo è guarito ma resta il residuo rituale del taglio – incantesimo di riduzione e condivisione. Ne faccio a meno  […]