Pulita. Il grido silenzioso dei conflitti di classe

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«Mi chiamo Estela, mi sentite? […] Se mi sentite, se siete lì, voglio proporvi un patto: io vi racconto una storia e quando arrivo in fondo, quando non ho più niente da dire, voi mi fate uscire di qui».Inizia così Pulita di Alia Trabucco Zerán (edito da Sur), come un grido di aiuto che ci giunge dalla stanza asettica nella quale la protagonista, Estela Garcìa, è rinchiusa. Non si conosce il motivo della sua segregazione, sembra un sopruso. Però ben presto si scopre che qualcosa di terribile è accaduto a Julia, la preziosa rampolla della famiglia di Santiago presso la quale Estela ha lavorato per sette anni come domestica. Un giorno la bambina è morta, non si sa il motivo, ciò che è certo è che la tata era in casa. Quindi non è che per caso Estela si merita quella punizione?Attenzione: questo libro non è un giallo, l’autrice non vuole raccontare tanto la morte, quanto disegnare la perfetta parabola degli esseri umani che vivono ai margini di esistenze dorate e privilegiate, gli invisibili, senza nome, eppure così necessari. Sono loro, di fatto, a rendere quelle esistenze dorate. Sono loro, coi propri gesti ripetuti, a rinnovare quel privilegio. «La morte può aspettare. È l’unica cosa che può davvero aspettare in questa vita. Prima dovete capire la realtà, come si dilatò una settimana dopo l’altra; come si impadronì delle mie ore, di ogni mio giorno, finché non ce la feci più, finché non seppi come andarmene da lì.» Nella sua stanza senza finestre, Estela sa che qualcuno la [...]

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