La morte non sogna. La città come paesaggio cognitivo in Tutti i sognatori di Filippo Tuena

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Roma non è grande quanto il suo sogno. E sebbene una simile affermazione possa valere per tutte le città, nel caso di Roma assume una connotazione ulteriore. Una stratificazione fittissima di memorie e fantasmi, di epoche e di vite minime, infine l’assillo primigenio di essere stata a lungo la cuna del mondo, fanno in modo che Roma sia di per sé fatta della stessa materia del suo sogno. E forse proprio per questo è condannata a un’inafferrabile, perpetua metamorfosi. Da sogno a incubo, da realtà allucinata ad allucinazione tenebrosa.La natura anfibia delle città – spazio del reale e proiezione onirica – è senza dubbio un  motivo costante della narrativa contemporanea, ma anche questa è un’affermazione parzialmente giusta: lo era in una misura simile anche per quella antica, come appunto accadeva nel Satyricon di Petronio, o nella Metamorfosi di Apuleio. Permane in ogni caso come uno dei nuclei più densi di Tutti i sognatori, romanzo delle origini di Filippo Tuena ambientato nelle ultime fasi dell’occupazione romana durante la Seconda Guerra Mondiale, da poco riedito da nottetempo (la prima edizione, nel 1999, era stata curata da Fazi). Campo di contrasto sanguinoso tra forme di resistenza e repressione nazifascista, tra presa di coscienza di alcuni e indifferenza della maggioranza, Roma è la terza protagonista, la madre atavica che fagocita – letteralmente – la vita di Maria Bellingardi e di Luca, le due voci che maggiormente intessono la rete del racconto. La p [...]

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