La necessità dello scandalo. Instadrama di C. Palis è l’evento letterario di cui avevamo bisogno

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Se per Aldo Busi è bastato, per lui come un anatema, ridursi a vivere per poter scrivere, oggi, nell’era dell’instagrammizzazione della letteratura, lo scenario è mutato: per scrivere, in un certo senso, bisogna ridursi a morire. Ne è consapevole C. Palis, nella sua transustanziazione nell’io-narrante protagonista della cronaca ‘antiletteraria’ di un rapimento che è Instadrama (Gog edizioni). Bisogna morire – a scanso di equivoci – di una morte autoriale, ma non della morte autoriale barthesiana, il cui rito funebre, riservato all’Io autobiografico, sanciva lo scarto insondabile tra l’opera e la dimensione esistenziale dell’autore, quanto di una morte autoriale implosiva, cosmica, la morte autoriale netflixiana di cui parla il critico letterario Jorge Carrión nel saggio Lo viral, laddove il marketing del prodotto polverizza, attraverso lo slogan «Una serie Netflix», il nesso epistemologico autore-opera perché non c’è più opera ma solo, appunto, prodotto – commissionato, periziato, appiattito, edulcorato – e l’autore si declassifica a mera figura tecnica, a, nel caso della scrittura, tassidermista delle lettere, artigiano dell’alfabeto e del testo scritto. Per scrivere, bisogna dunque annullarsi in quanto Autore, inventarsi un proverbiale chiodo letterario per appendervi definitivamente la penna e iniziare a delegare ChatGPT, rinunciare ad aspirazioni di caratura artistica, e dunque dissimulare le pretese sconfinate dell [...]

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