La de-romanticizzazione della fuga. Le città e i giorni di Filippo D’Angelo

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Giorni frenetici come Milano, desolati come Bangui, illusori come Parigi, imprudenti come New York, sfaccettati come Buenos Aires. Spazio e tempo: elementi che si contengono l’uno nell’altro, mettendo in relazione lo scorrere dell’esistenza con le linee dell’urbanistica, la lontananza geografica con la contemporaneità emotiva. Il romanzo Le città e i giorni di Filippo D’Angelo, uscito per Nottetempo, si serve di queste connessioni per raccontarci una disconnessione già avvenuta, una biforcazione narrativa il cui punto d’origine sta così indietro da non avere più importanza. Maurizio ed Emanuele sono due fratelli che non hanno più contatti da tempo. Le loro strade si dipanano in città spaventosamente distanti e in giorni dal ritmo totalmente diverso. Vite divenute parallele che in qualche modo si guardano, non senza una punta di rancore, senza più incontrarsi. Quasi a voler calcare la mano su questa lontananza, D’Angelo realizza un romanzo doppio, con due archi narrativi raccontati a capitoli intermittenti, come in un film a montaggio alternato. I capitoli dispari sono dedicati a Maurizio, di professione architetto, rampollo di terza generazione di una blasonata famiglia di architetti milanesi. Vive a Parigi, a distanza di sicurezza da suo padre, con una moglie e una figlia piccola. L’instabilità silenziosa del suo equilibrio familiare inizia seriamente a scricchiolare quando il padre lo richiama a Milano per proporgli di partecipare alla costruzione di un grattacielo in co [...]

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