De André contro Verre: il canto anarchico

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«La pietà si appoggia al suo bombardamento preferito e perdona la bomba» (Gregory Corso) Parlare dell’idea di potere in Fabrizio De André – l’anarchico pigro – significa in sostanza parlare “di” Fabrizio De André, e farlo è pericoloso per due motivi: da un lato si rischia di ripetere cose già dette o banali sulla sua figura, dall’altro ci si espone al fuoco diretto dei cultori del più grande cantautore italiano di sempre. Il modo migliore per affrontare un pensiero così politicamente profondo e radicale, a mio avviso, è quello di far parlare De André attraverso i testi delle sue canzoni, le sue interviste e le parole di chi l’ha vissuto più da vicino. Tutti i giganti del pensiero – artisti, letterati, filosofi –, sempre manualisticamente triturati e analizzati al microscopio nelle “fasi del loro pensiero”, sono tali proprio perché tutta la loro vita intellettuale è compulsivamente ossessionata da poche idee fisse, chiare, radicali. Ebbene, il cuore del pensiero di De André è la decostruzione del concetto di “potere” e la denuncia delle sue forme oppressive e repressive. «L’artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere» – ha detto il cantautore genovese in una delle sue ultime interviste -. Da La ballata del Michè (1961) sino a Smisurata preghiera (1996), il suo ultimo testamento intellettuale, De André ha fatto una sola cosa: ci ha mostrato che ogni forma di potere non garantisce alcuna libertà, anzi, crea delle sacche di minoranze emarginate, esclus [...]

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