Invidia
Leggi su Biró La sua stanza era quella in fondo al corridoio, vicina alle porte d’emergenza. In quello spazio non era permesso fumare, ma lo facevano tutti, e lei più degli altri. Usciva dalla camera in tuta blu, spingeva la sedia a ruote con un braccio solo mentre l’altra mano era impegnata a reggere la sigaretta. Parlava molto, anche quando fumava. Raccontava di sé, della sua vita professionale – era infermiera –, di un fidanzato di cui non faceva mai il nome, della sua cicatrice. Con quella voce carezzevole e i gesti gentili si era guadagnata una buona reputazione nell’intero primo piano. Si lavava i capelli biondo rame un giorno sì e uno no, incurante delle regole che prescrivevano di non accendere il phon nelle ore serali. L’ordine era importante, così diceva. Conosceva tutti per nome e per malattia, sapeva i progressi e i fallimenti di ognuno, aiutava a scrivere il turno degli infermieri sulla tabella di fronte ai bagni e rideva alle battute della dottoressa che la visitava più frequentemente di altri, anche più di me. Portava scarpe alla moda, sebbene non avesse certo intenzione di consumarne le suole. Prendeva quattro pastiglie al giorno per il dolore, ma sul suo volto un’espressione di disagio o una ruga di sopportazione non gliel’ho mai viste. Io non prendevo farmaci. Soffrivo in silenzio, con i punti che mi tiravano la sutura della nuova ferita. Quando la sentivo parlare della sua diagnosi, mi affrettavo a raggiungere la mia stanza. Mi isolavo dalla sua stupidità. Una comunissim […]