Funerali preparati e le dimensioni della morte

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Tutto si è detto della morte perché niente si può dire su di essa. Questo la rende per prima cosa l’oggetto di una speculazione perpetua, dove è impossibile sbagliare. Di conseguenza, la morte come estremo viaggio, definitivo annichilimento, ponte verso l’altrove, processo, disfacimento, fine, nuovo inizio. Per James Matthew Barrie, attraverso le parole del suo Peter Pan, puer aeternus per eccellenza, «sarà un’avventura meravigliosa». Per Cioran, che ne sentì il fiato gelido fin da bambino, «ciò che la vita ha inventato di più solido». Nel frattempo, tra chi è pronto a tutto per sconfiggerla e chi la vorrebbe come un sacrosanto diritto, tra chi la teme e chi ci spera, Caino domina la storia, assicurando il proprio fratello al creatore, nei secoli e nei secoli. Amen. Una parola posta alla fine di ogni preghiera o sermone, utile a confermarne la veridicità o aggiungere enfasi all’omelia, ma che in questo caso, molto più umilmente, aiuta a morire un’inutile lista di citazioni che al contrario potrebbe non avere fine, proprio perché della morte si può dire tutto e niente. Eppure, parlando di Funerali preparati, ultima opera di Marco Taddei e Michele Rocchetti recentemente pubblicata da Quinto Quarto Edizioni, alla morte serve dare, se non una definizione, quantomeno una voce, un luogo e un colore. Tre elementi che, per cominciare, andrebbero messi al plurale. Le voci in questione sono quelle di coloro che si approssimano alla fine. Brevi testi, raramente oltre le due pagine, n [...]

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