Egli non sa cos’è l’abisso. Joséphine di Jean Rolin

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Gli anni Novanta sono appena cominciati quando un giornalista, nonché la voce narrante del racconto, incontra una donna, Joséphine, che nel giro di pochissimo tempo diverrà fondamentale per il suo presente e futuro. La traccia del solco lasciato da questo incontro lungo tre anni, dal 7 ottobre 1990 al 26 marzo 1993, è il memoir Joséphine di Jean Rolin, uscito in Francia nel 1994 e portato ora in Italia da Quodlibet nella traduzione di Martina Cardelli.Se i processi della memoria delimitano la felicità, Joséphine è un racconto purgato dalle macchie scure del male, che ottundono i ricordi solo quando sono più freschi, e che in queste pagine non intaccano l’intensità di un grande amore passato e la leggerezza rapsodica delle vite vissute tra gli anni Ottanta e primi Novanta, quando era ancora possibile perdersi nell’immediatezza del presente. Sin dall’inizio, Joséphine mi è apparso come il risultato di tanti libri, e tante donne. Una lettura contestuale, il tassello aggiuntivo di un’unica macro narrazione, personalissima, che si accresce negli anni, per caso o per chiamata. (In verità, è così per ogni libro letto, apprezzato o meno, solo che per alcuni, e Joséphine è uno di questi, la fiumana in cui scorrono è impetuosa ed evidente. Se ne vede il principio, la direzione, difficilmente la fine). Questa volta il contesto si è fatto avanti da sé, una realtà che si apparecchia in anteprima, per stupirci quando tardivamente ce ne accorgiamo. E così è accaduto che, subito dopo [...]

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