Macchie, macchine, macchinari, macchinazioni. Dietro al mito con Furio Jesi
Nelle scienze umane non è concepibile un’osservazione neutrale. A differenza dei tecnici di un laboratorio che possono effettuare ogni genere di esperimento chimico, fisico o scientifico in uno stato di perfetta misurabilità e oggettività senza esserne in alcun modo coinvolti, chi si addentra nella critica letteraria, nella psicoanalisi o nello studio della nostra società sa di essere fatalmente parte, in maniera immediata o indiretta, dell’oggetto del suo studio. Anche gli studiosi di letteratura comparata e mitologia, che pure sembrano chinarsi su opere di altri autori, altri popoli, altre lingue e altri tempi, sanno di essere perennemente influenzati da quello che studiano. Quest’influenza va, ça va sans dire, in un doppio senso: il mito, il libro, il racconto cambia, deve sempre cambiare in qualche modo l’interiorità e l’immaginario di chi lo studia; dall’altro lato, chiunque riporta un mito o una narrazione, chiunque la interpreti e la dissezioni, si ritrova spontaneamente a riscriverla, e ad inserire una componente personale e irripetibile nell’interpretazione, nella critica, nello studio delle fonti. Difficile trovare nel Novecento italiano uno studioso più coinvolto dalle questioni delle mitologie, delle letterature e delle loro continue e reciproche influenze di Furio Jesi, che dopo un periodo di relativo oblio sta significativamente tornando all’attenzione di un certo pubblico con le riflessioni sulle culture di destra e le «macchine mitologiche» che le promuovev [...]