Bottoms, ovvero quando il fight club ribalta gli stereotipi di genere

Leggi su Limina

Ai Golden Globe nessuno si è ricordato di invitarlo, assente tra gli assenti nella notte in cui Ayo Edebiri veniva premiata per la seconda stagione di The Bear (premio sacrosanto, il suo come quello finito nelle mani di Jeremy Allen White), mentre persino delle cosette dimenticabili come Nyad o dei film da streaming svogliato come Saltburn si mettevano in tasca un paio di candidature. Di futura passeggiata sul tappeto rosso degli Oscar, poi, manco a parlarne: l’Academy negli anni ha imparato a stare al gioco delle commedie, a volte persino di quelle che mangiano con i gomiti sul tavolo, ma continua a tenersi alla larga dai film problematici, scivolosi, imbarazzanti, che non si sa da che parte prenderli (e soprattutto se prenderli sul serio). Bottoms è insomma destinato a rimanere il classico fenomeno laterale, un corpo estraneo a qualsiasi contesto celebrativo, una specie di b-movie che ce l’ha (quasi) fatta: promosso al botteghino americano grazie all’effetto trainante del passaparola (fatevi un giro tra i commenti postati su Letterboxd) e arrivato da noi solo sul piccolo schermo in orbita Prime Video. Eppure, se chiedete a chi scrive, il lungometraggio numero due della canadese Emma Seligman, che già aveva dimostrato di saperci fare con la comicità anarchica nell’ottimo Shiva Baby (adottato e distribuito da Mubi), finisce dritto dritto sulla copertina del 2023. Ma prima di spiegarvi i perché e i percome di tanto entusiasmo (o almeno di provarci vi [...]

Racconti correlati