La favola dei fuorilegge. I calcagnanti di Nicolò Moscatelli

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Credere nelle favole può essere una cosa che si dice a chi ha una visione delle cose alquanto edulcorata, basata su realtà ammorbidite, purgata dai conflitti veri del vero vivere. Ciò non vuol dire che chi ci crede non sia, forse più di altri, colpito e offeso dalle difficoltà della vita. A me da piccolo piaceva la favola del brutto anatroccolo non perché fossi scemo (o forse sì) ma perché mi serviva. Mi sentivo (ero) brutto e impacciato e in molti attorno a me si prendevano il compito di ricordarmelo nei modi più brutali. Era una questione di speranza, di fede nel cambiamento, e anche di vendetta. Ciò che c’era non mi piaceva e non mi bastava. Credere è una delle risorse più potenti in dotazione all’essere umano e narrazioni come la favola scaturiscono dall’inesausto conflitto tra le condizioni di vita degli uomini e i loro desideri. E si può dire ne siano l’espressione più diretta e immediata. La favola lavora su una gamma basilare di pulsioni, entra per via primordiale, una via sempre aperta.Ora, nell’esempio del brutto anatroccolo, ci si concentrava sul destino dell’individuo, non c’era coscienza collettiva, le condizioni del sistema restavano invariate ma avveniva una scalata sociale: chi mi vessava veniva battuto, e io vincevo (anche il privilegio di vessare a mia volta). Così è in molte trame favolistiche, che ci piacciono particolarmente perché si adattano alla nostra società di singoli in gara: vogliamo un successo e un benessere da guadagnarsi nella corsa della v [...]

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