Campane, all’improvviso. Romano Palatroni, il traduttore dimenticato di Baudelaire

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«Senza esser poeta non si può tradurre un vero poeta».Giacomo Leopardi « […] Così nella mia selva d’esilio a piene gote un antico Ricordo suona il corno e s’accora: penso ai naufraghi, a gente sparsa in isole ignote ai prigionieri, ai vinti, e a molti altri ancora.» «Ainsi dans la forêt où mon esprit s’exileUn vieux Souvenir sonne à plein souffle du cor ! Je pense aux matelots oubliés dans une île,Aux captifs, aux vaincus !… à bien d’autres encor !» Così Romano Palatroni («chi era costui?») traduce negli anni Cinquanta l’ultima strofa del Cigno (Fleurs du mal, 89) di Baudelaire. Traduce con pathos ed eleganza, scegliendo di conservare (qui come spesso fa altrove, per B. e non solo) la struttura metrico-strofica dell’originale (il verso alessandrino, le rime alterne, la quartina). Questa fedeltà alla fisionomia esterna del testo baudelairiano lo “costringe” – sul piano lessicale e sintattico – a una sua creativa rielaborazione. Palatroni procede di volta in volta, per far tornare i conti del ritmo e delle rime, per contrazioni («dans la forêt où mon esprit s’exile» > «nella mia selva d’esilio») e per espansioni («aux matelots oubliés dans une île »> «ai naufraghi, a gente sparsa in isole ignote»). Si impegna in uno strenuo lavorio formale, di scalpello, di lima e di stucco. Attiva, dove servono, le “vecchie” figure retoriche («un antico Ricordo suona il corno e s’accora»: una sovrapposizione di assonanze e paronomasi [...]

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