James Lee Byars: lo zen, il medium e l’oro dei faraoni

Leggi su Limina

 My name is Ozymandias, king of kings: Look on my works, ye Mighty, and despair!” Nothing beside remains. Round the decay Of that colossal wreck, boundless and bare, The lone and level sands stretch far away. Percy Bysshe Shelley, Ozymandias, 1818 Nel passaggio più famoso della poesia Ozymandias del romantico Shelley si evoca con poderosa carica immaginifica tutta la grandezza e insieme l’impermanenza del regno di Ramsete II. Ma se dell’hubris del faraone rimangono solo macerie semi sepolte nella sabbia e nel tempo, dell’opera di James Lee Byars possiamo per ora ancora ammirare straordinari esempi, sia materiali che immateriali. La nuova mostra che Pirelli Hangar Bicocca, in collaborazione con il Reina Sofia di Madrid, ha recentemente inaugurato a Milano offre un ottimo pretesto e occasione per avvicinarsi alla carriera di un artista che è stato anche tra gli ultimi a essere ammantato da un’aura eroica e per certi versi anche messianica. Sono circa ventiquattro i lavori che scandiscono il percorso di opere scelte da Vincente Todolì, curatore della mostra che insieme al suo team ha avuto il non facile compito di ‘contenere’ James Lee Byars all’interno dei vasti spazi industriali di Hangar, perché se è vero che molte opere dell’artista americano godono di proporzioni monumentali, altrettanti esempi della sua arte potrebbero essere racchiuse nel palmo di una mano, scritte su un chicco di riso, oppure altre ancora che chiedono d’essere custodite in luoghi già carich [...]

Racconti correlati