Il realismo magico di Alessandra Sanguinetti sfida l’antropocentrismo

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Prossimi a concludere il percorso espositivo della National Gallery di Londra incontriamo un momento particolare. Nel punto di fuga dell’infilata di porte, in prospettiva e posizione strategica, appare dalla sala numero 34 Whistlejacket di George Stubbs. Oltre la posizione, le dimensioni concorrono all’impressione: quasi tre metri di altezza per due e mezzo di larghezza. È un formato colossale spesso destinato a ritratti equestri di potenti e regnanti, da Tiziano a Van Dyck. È un altro, tuttavia, il motivo decisivo per cui l’incontro con l’opera più famosa di un pittore non particolarmente celebre genera un’intermittenza nel cuore nonostante giunti a quel punto del museo abbiamo già ammirato centinaia di capolavori dei massimi maestri della storia dell’arte: si tratta di un ritratto equestre senza cavaliere. Il soggetto è proprio Whistlejacket. Il grande olio su fondo monocromo oro raffigura un cavallo arabo da corsa e fu commissionato nel 1762 da Charles Watson-Wentworth, marchese, magnate e primo ministro Whig. Il purosangue è ritratto mentre si impenna e guarda in tralice a destra, fissando lo spettatore. Fu tutt’altro che la prima commissione per ritrarre dal vero cavalli importanti – pensiamo alla Sala dei cavalli affrescata da Giulio Romano a Palazzo Te, Mantova – e ancor meno il primo animale con un’identità specifica nella pittura occidentale – pensiamo a carattere puramente esemplificativo, spostand [...]

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