Dare corpo alla voce. Intervista a Silvia Calderoni su Denti di latte

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Forse è così che succede per artisti con vent’anni di carriera alle spalle. Si vive in uno stato di continuo rinnovamento e esplorazione di sé, perché semplicemente se ne avverte il bisogno. Nel recente passato di Silvia Calderoni c’è Frankenstein (A Love Story), la nuova creazione di Motus (compagnia con cui collabora da dieci anni), andato in scena all’Arena del Sole di Bologna. E c’è Denti di latte (Fandango Libri, 2023), suo esordio alla scrittura. Forse è così che succede per un’artista che si avventura (costantemente, consapevolmente) nell’andare oltre ogni sorta di confine. Oltre quelli del corpo, interrogandosi attivamente sulle modalità attraverso le quali possa nascere un nuovo linguaggio, concentrato sull’indagine e mai sulla definizione. Impegnandosi a studiare posture nuove, perché quelle attuali non sono abbastanza. Denti di latte adotta la stessa strategia. Passato e futuro (sia umano che artistico) si incontrano, facendosi forza l’uno con (e sul) l’altro. Tutto si tiene insieme, il «pre» rimodella il «post», senza cancellarne le tracce. I residui di infanzia sono e non sono più quello che erano. Forse è così che succede con un’artista come Silvia Calderoni. Siamo invogliati a chiedere «una piena falcata d’amore / una giusta battaglia, / aculei nella voce / narcisi e rose / essere radiosonda / del niente che trasforma il trascendente in cose». Versi, questi, di Mariangela Gualtieri (Senza polvere senza peso, Giulio Einaudi Edito [...]

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