Utilità e tempo. Cinque giorni fra trent’anni di Francesco Fiorentino

Leggi su Limina

Cinque giorni fra trent’anni di Francesco Fiorentino (Marsilio) si poggia su una doppia sfida felicemente vinta: la narrazione al presente e il rifuggire dagli espedienti romanzeschi, dagli scioglimenti dei nodi che il tempo crea, la narrazione registra, e forse il lettore si prefigura. La duplice sfida qui paga doppiamente. In questo insieme di storie (e di donne), emerge la sottile musica del tempo, un ritmo di momenti affastellati che riproduce come i personaggi vivano la loro vita, scorciati nella possibilità di guardare avanti e indietro. Il primo episodio, Roberta, ad esempio comincia con un adescamento alla suspense narrativa: il giudice Marti, trent’anni dopo, scopre di essere stato nominato esecutore testamentario dell’enigmatico Guido, conosciuto ai tempi dell’università e della contestazione dei primi anni Settanta, con cui non ha rapporti da tempo. Dopo questo inizio intrigante, emerge che forse, nella vita in generale, se ci sono colpi di scena e rivelazioni, spesso vanno di pari passo e quindi ci sorprendono sempre fino quasi a essere irriconoscibili ‒ e talvolta nulla davvero si rivela, forse perché nemmeno tanto era stato velato. Il libro tratteggia infatti la «vita vagheggiata», dove si intravede la felicità vagamente desiderata dai personaggi, ma anche il loro vagheggiare sognante, in un’onda di vaghezza dolorosa e indecifrabile, talvolta grottesca. La narrazione, infatti, fa vagheggiare spesso possibili risoluzioni consolanti delle vicende incentrate att [...]

Racconti correlati