Se la lingua non è più dogana. Controdizionario della lingua italiana

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[Nota a cuore aperto del curatore del Controdizionario della lingua italiana (Baldini+Castoldi), testo contenente 218 parole di 185 alunne e alunni dell’istituto Marisa Bellisario di Inzago.] *** Io la voce di mia madre la ricordo ancora (e temo, in confidenza, di essere inabile alla dimenticanza): in italiano, mi raccomando, altrimenti se ne accorgono. Ecco cos’è stata la lingua della mia adolescenza: misura esatta della privazione, del divario, del tutto quello che non puoi e che pure sei in una prospettiva igienico-sociale entro la quale solo i figli dei riusciti potevano, col loro italiano apparecchiato, stare alla mensa dei signori: la loro. Rabbia, questo provavo, rabbia a dismisura, nel sentirmi inopportuno fin dalla bocca aperta nel momento in cui un’espressione felice – felice, sì, giacché sincera e propria di un alveo di bene, quello familiare – permeava le labbra: non si deve, non si deve, non si deve, altrimenti capiscono. Così sono cresciuto, nella vergogna, nella convinzione di un’impossibilità che cedeva dinanzi ad una lingua, quella da protocollo, che ho cercato di dominare e bere a gran sorsate col dovere dell’integrato e il sospetto del forestiero: la laurea in lettere classiche, accussì nessuno poteva dicere niente, questo ho pensato mentre mi mettevano la corona, pure che con gli occhi guardavo quella mamma a quinta elementare in borsa e letture della chiesa sull’altare la domenica dopo esercizio settimanale continuo serale. Poi la sorte è strana e ti s [...]

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