Trash o son desto? Dichiararsi senza pretese possedendole tutte

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Durante alcune conversazioni con Aurelio Pes, saggista e pensatore esorbitante, che si svolgevano a casa sua alcuni anni fa tra languori decadenti, numeri introvabili di Franco Maria Ricci, un Praz e un catalogo di Beardsley o Guido Reni, quest’uomo affascinante descriveva la sua eccitante idea sul rapporto tra «i frustrati estetici e la Bellezza», dicendomi: «è difficile avere buon (bel) gusto, trovare il Bello, identificarlo, saperlo valorizzare, impiegarlo in qualche modo sublime, farselo brillare addosso, più o meno intellettualmente o edonisticamente… è una delle cose inconsciamente più ambite, persino da chi dispone di mezzi elementari, voglio dire persino dai peracottai o dai “votacessi”, nel loro piccolo, quando sognano un diamante. E in genere, chi non possiede questo gusto, che poi ovviamente è una specie di chiave del tesoro, ha un risentimento naturale verso chi invece ne ha. Il cattivo gusto è qualcosa che mi suona come una specie di inafferrabile narcisismo del sottoproletariato». Secondo questa visione, imputabile di snobismo, il piacere che nasce in queste anime risentite è lo sfregio a mo’ di chiazza di sugo, rivendicando uno spazio per il brutto e lo squallore, ergendo un trespolo apposito e avviando una cerchia di compari per sfogare l’esclusione subìta. Questa cosa a primo sguardo somiglia a un meccanico teppismo di periferia degradata, quindi né crudelmente sofisticato (Arancia Meccanica?), né a pretesa rivoluzionaria (black bloc?). Il produttore [...]

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