Pensare fuori dalla scatola. Greta, Barbie e le altre

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Sentirete spesso Greta Gerwig ripetere durante le interviste che l’ostacolo più grande nella realizzazione di Barbie era la mancanza di una storia. In parte è vero, perché non esistono canoni di riferimento o un testo a cui ispirarsi, ed è il motivo che rende l’operazione un’anomalia in un mare di adattamenti, prequel, sequel e spin-off. Gerwig sa però che Barbie esiste in uno spazio segreto custodito dalla memoria delle bambine che hanno inventato scenari di ogni genere, rivendicandone un’assoluta specificità: la mia storia mi appartiene, è mia e di nessun altro e non somiglia a nulla di già raccontato. A quello spazio l’autrice attinge assumendone lo stesso sguardo simultaneo (è qui ed è ovunque), e in una società terrorizzata dalla pluralità di punti di vista, ne rivendica l’urgenza. Si può parlare di istanze politiche, mettere insieme numeri musicali, apprezzare la moda, piangere e divertirsi, dissertare di vita e di morte senza sentirsi inadeguati; d’altronde, a Barbieland le case non hanno pareti: un invito grafico a pensare “fuori” dalla scatola delle nostre convinzioni. Per questo motivo Barbie è senza dubbio un film di tutt* e per tutt*, classico istantaneo che sfoglieremo negli anni a venire perché cattura lo spirito del tempo presente al di là del suo valore soggettivo e lo descrive con un linguaggio popolare, ma è anche e indiscutibilmente un film di Greta Gerwig. L’indagine sulla protagonista è in perfetto dialogo con i precedenti lavori – Lady [...]

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